Google calling 4 – US, here I am
Sono arrivato negli stati uniti da circa tre ore. Controllo del passaporto e un nuovo passaggio sicurezza (in cui, qui sì, mi sono dovuto levare tutto: cintura, scarpe, orologio.. tutto..) e alla fine mi sono accorto di essere negli US: Starbucks!
Ho resistito la tentazione di prendermi un cappuccino, per ora, ma penso che ne approfitterò, anche solo per provare l’ebbrezza di collegarmi da uno di quei bellissimi posti. E infatti, il punto dolente è proprio la connessione: in aeroporto c’erano molti hot-spot, ma tutti a pagamento, e ho cominciato ad accarezzare l’idea di farmi una card prepagata da t-mobile per una settimana (che poi è il tempo che devo stare qui), ma per ora non ho fatto nulla.
Diciamo che nonostante io mi ritenga un geek abbastanza aggiornato, e che io vada in giro garrulo e fiero con il mio NetBook ed il mio Ipod Touch, ho ancora paura di fare la figura del provinciale, e mettermi a fare una cosa old fashion come provare a telefonare da una cabina telefonica. Sono un po’ in soggezione perché qui tutti – e quando dico tutti voglio dire proprio tutti – hanno l’iphone e lo usano continuamente. E poi una percentuale molto numerosa si attacca al portatile (con un gran numero di Mac Book). Insomma, io passo per l’omino tecnologico nella mia cerchia di amici… mica posso fare figure di niente :D
Sono però abbastanza contento di notare che nel primo posto in cui mi sono fermato in america, non ho speso nemmeno un centesimo :) C’erano però tantissime cose che avrei voluto immortalare, oltre all’insegna di Starbucks… C’era un negozietto di memorabilia che vendeva le magliette con la faccia di George W. Bush e la scritta: “Miss me yet?” (Sto cominciando a mancarvi?) Poi c’era un chiosco che vendeva gli smoothies, che non ho ancora capito cosa diavolo sono, ma solo il ome mi fa venire voglia, e un negozio di caramelle che vendeva Gummy Bears, quelli originali grossi e pacioccosi. E’ stato un impatto interessante, e anche abbastanza divertente. E ovviamente un impatto sotto aria compressa, perché da queste parti campano continuamente nell’aria condizionata, e al terminal di Washington c’erano delle grosse finestre che si aprivano sugli aerei… talmente separati dalla vita del terminal stesso, che sembrava uno stesse per imbarcarsi su una astronave per la Luna, non su un aereo…
Ora sono ancora West Bound, sull’aereo da Washington a Denver. Abbiamo un pilota di colore che parla come Eddy Murphy. E l’arrivo è previsto con un po’ di anticipo, per cui dovrei avere tutto il tempo di organizzarmi per arrivare all’albergo.
Google Calling 3 – Information is everything
Ora, io non dico che uno deve spendere soldi per forza, ma ho notato che ultimamente ci sono troppe occasioni in cui bisogna decidere su due piedi se spendere dei soldi o no. E’ anche poi vero che molto spesso è meglio non farlo, ma sarebbe bene avere qualche informazione in più prima di ritrovarsi in certe situazioni… D’altra parte i benefici di un processo informato sono stati dimostrati molto bene da una serie di studi, in cui i lavoratori di una catena di montaggio si dimostravano più produttivi e soddisfatti quando venivano informati precisamente di cosa stavano facendo e perché. Un altro esempio potrebbe essere il viaggio in treno, dove sarebbe opportuno informare sempre e comunque i passeggeri di dove si trovano e quanto manca all’arrivo. Il sogno sarebbe anche una serie di informative su quello che si sta vedendo dal finestrino, ma in tal caso sarebbe pura Utopia. Con un flusso costante di informazioni, il viaggio procede meglio, e sembra durare di meno. Ultimamente m’è capitato di restar fermo per un treno in avaria, in aperta campagna tra Roma e Napoli. Né un annuncio, né una grafica informava di dove fossimo. Alla fine ho dovuto chiamare un amico, per farmi dire da internet dove eravamo… La mancanza di informazioni provoca sempre disagio, e incertezza. Non tutti riescono a prendere decisioni in due secondi.
Veniamo a stamattina, dopo aver raggiunto l’aeroporto dall’ albergo, mi accingo a effettuare il check-in e lì arriva la novità: la carta di imbarco viene ora rilasciata da una macchinetta con interfaccia touch (ovviamente) che oltre a effettuare la scansione del passaporto, offre anche la possibilità di fare un cosiddetto “upgrade” del posto assegnato, prima in prima classe (per la modica cifra di 570 euro) ed eventualmente in Economy Premium, al costo di 70 euro. In questo secondo caso, saperlo prima mi avrebbe messo nella condizione di pensarci su, e magari decidere per tempo se volevo migliorare il mio posto oppure no, invece di trovarmi nella condizione di scegliere all’ultimo. Alla fine ho deciso di non farlo, immaginando che in ogni caso il posto in cui sarei stato messo non sarebbe stato male. Mi sbagliavo: il posto assegnato a me era nell’ultima fila, con il sedile di fronte a 20 centimetri, e alcune scritte a mano sul retro del sedile in cui precedenti passeggeri si chiedevano cosa avevano fatto di male per capitare lì. Unico vantaggio, il posto era accanto al corridoio.
Fortunatamente, dopo un primo cambio, con scambio di battute esilarante tra me e la hostess, mi assegnano comunque un posto in Economy Plus, ancora lato corridoio, dove ho un po’ più di spazio per le gambe, e un posto vuoto dall’altro lato che ho provveduto a colonizzare. Adesso il viaggio procede, ci sono ancora sette ore di volo, e a parte commettere la leggerezza di aver chiesto pollo (che sapeva di pesce) per pranzo, va tutto bene.
Mancano ancora circa 7 ore di volo, e arriveremo poi a Washington verso le 15, ora locale.
Google Calling 2 – Roma
A Roma Termini, pensavo di aver forato una delle ruote del trolley grande, invece sembra poi che avevo beccato non so quale schifezza dentro alla ruota, e quindi non girava bene. Ora comunque si è tolta, e il mio viaggio, ormai alla sua seconda tappa, procede sul treno da Roma Termini all’aeroporto di Fiumicino. Qui dietro, due bimbe stanno mettendo alla prova la pazienza dei rispettivi genitori producendo urla sempre più alte.
Devo dire che appena sono arrivato a Roma Termini, appena sceso dal carro bestiame che passano per intercity, mi sono sentito meglio. Il pensiero di essere tornato in questa stazione dopo tanto tempo, una strana nostalgia di una normalità solo provata e perduta. Saranno le condizioni in cui attualmente versa la Stazione Centrale a Napoli, ma appena vedo qualche altra parte di Italia, mantenuta con un minimo decoro, mi pare di stare già in un altro paese, un’altra dimensione dove è normale che le cose non facciano schifo.
Come appunto mentale, devo segnarmi di chi è il progetto del Bar Osteria alla Stazione Termini… avevo pochi minuti per prendere il treno, ma mi sono dovuto cmq fermare un attimo a vedere quelle volte altissime in mattoni, e la enorme cappa di marmo che copre tutto il banco bar. Emozionante. Ci prenderei volentieri un caffè (sempre che non costi un rene) e mi sa che mi ci fermerò al mio ritorno (sempre che io sia ancora lucido per farlo).