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Google calling 4 – US, here I am

settembre 1, 2010 Lascia un commento

Sono arrivato negli stati uniti da circa tre ore. Controllo del passaporto e un nuovo passaggio sicurezza (in cui, qui sì, mi sono dovuto levare tutto: cintura, scarpe, orologio.. tutto..) e alla fine mi sono accorto di essere negli US: Starbucks!

Ho resistito la tentazione di prendermi un cappuccino, per ora, ma penso che ne approfitterò, anche solo per provare l’ebbrezza di collegarmi da uno di quei bellissimi posti. E infatti, il punto dolente è proprio la connessione: in aeroporto c’erano molti hot-spot, ma tutti a pagamento, e ho cominciato ad accarezzare l’idea di farmi una card prepagata da t-mobile per una settimana (che poi è il tempo che devo stare qui), ma per ora non ho fatto nulla.

Diciamo che nonostante io mi ritenga un geek abbastanza aggiornato, e che io vada in giro garrulo e fiero con il mio NetBook ed il mio Ipod Touch, ho ancora paura di fare la figura del provinciale, e mettermi a fare una cosa old fashion come provare a telefonare da una cabina telefonica. Sono un po’ in soggezione perché qui tutti – e quando dico tutti voglio dire proprio tutti – hanno l’iphone e lo usano continuamente. E poi una percentuale molto numerosa si attacca al portatile (con un gran numero di Mac Book). Insomma, io passo per l’omino tecnologico nella mia cerchia di amici… mica posso fare figure di niente :D

Sono però abbastanza contento di notare che nel primo posto in cui mi sono fermato in america, non ho speso nemmeno un centesimo :) C’erano però tantissime cose che avrei voluto immortalare, oltre all’insegna di Starbucks… C’era un negozietto di memorabilia che vendeva le magliette con la faccia di George W. Bush e la scritta: “Miss me yet?” (Sto cominciando a mancarvi?) Poi c’era un chiosco che vendeva gli smoothies, che non ho ancora capito cosa diavolo sono, ma solo il ome mi fa venire voglia, e un negozio di caramelle che vendeva Gummy Bears, quelli originali grossi e pacioccosi. E’ stato un impatto interessante, e anche abbastanza divertente. E ovviamente un impatto sotto aria compressa, perché da queste parti campano continuamente nell’aria condizionata, e al terminal di Washington c’erano delle grosse finestre che si aprivano sugli aerei… talmente separati dalla vita del terminal stesso, che sembrava uno stesse per imbarcarsi su una astronave per la Luna, non su un aereo…

Ora sono ancora West Bound, sull’aereo da Washington a Denver. Abbiamo un pilota di colore che parla come Eddy Murphy. E l’arrivo è previsto con un po’ di anticipo, per cui dovrei avere tutto il tempo di organizzarmi per arrivare all’albergo.